Le cronache sportive e soprattutto calcistiche testimoniano sempre più frequentemente l’inserimento nei contratti dei giocatori delle cosiddette clausole rescissorie che permettono agli atleti di sciogliere in qualsiasi momento, dietro pagamento di somme spesso astronomiche, il contratto con una squadra.
È di fine 2015 la notizia che “il Barcellona comunica di aver rescisso il contratto dello stesso Sergi Guardiola”, mentre il sito ufficiale del club spagnolo dichiara “el FC Barcelona ha comunicado que ha decidido rescindir el contrato que había firmado con el jugador Sergi Guardiola” e il Daily Mail se la cava con “Barcelona have terminated the contract of Sergi Guardiola”.
Mentre la termination inglese non crea particolari problemi dato che risolve praticamente tutte le casistiche di scioglimento dei contratti, la rescisión spagnola e soprattutto la rescissione italiana non si possono liquidare altrettanto rapidamente.
La clausola rescissoria trova origine proprio in Spagna e precisamente nell’articolo 16 del Real Decreto 1006/1985 che recita “La extinción del contrato por voluntad del deportista profesional, sin causa imputable al club, dará a éste derecho, en su caso, a una indemnización […]”. Si parla di rescindir anche nella famosa sentenza Bosman (“[…] todo jugador puede celebrar un contrato con un nuevo club cuando el contrato que lo vincula a su club haya expirado, haya sido rescindido o expire dentro de los seis meses siguientes”) dove però “haya sido rescindido” risulta tradotto in italiano “è stato risolto”.
Perché non tradurlo in italiano con il concetto di rescissione?
Nell’ordinamento italiano (artt. 1447–1452, c.c.), la rescissione è prevista esclusivamente per contratti conclusi in circostanze eccezionali, quali lo stato di pericolo o lo stato di bisogno, casistiche che non sono certamente applicabili al caso di specie. Più propriamente si dovrebbe parlare di una situazione intermedia tra l’istituto della clausola risolutiva espressa unilaterale e quello del recesso convenzionale in cui l’entità della somma pattuita fa da spartiacque fra i due istituti; nel primo caso si parla di una clausola penale (artt. 1382–1384, c.c.), nel secondo di una multa penitenziale (art. 1373, 3 comma, c.c.).
Senza perderci comunque in sottigliezze, resta il fatto che parlare di rescissione e di “clausola rescissoria” è del tutto improprio e, a dispetto della diffusione di questi termini in ambito sportivo, non possiamo trascurare il fatto che non vi sia traccia, almeno con questo significato, nel nostro codice civile.
Avete da segnalare qualche altro caso di utilizzo improprio della terminologia giuridica? Dite la vostra nei commenti!
L’autrice del contributo
Da oltre 10 anni Chiara Zanardelli si occupa di traduzioni finanziarie e legali nelle combinazioni inglese-italiano e spagnolo-italiano. Insieme all’amore per le lingue, nutre da sempre una forte passione per le nuove tecnologie e l’innovazione digitale. Per info: www.traduzionechiara.it