Qualche settimana fa su Twitter, Licia Corbolante – meglio nota come la curatrice di un interessantissimo blog di terminologia – ha avviato una curiosa conversazione sul termine closing, molto utilizzato dalla stampa italiana per riferirsi alla chiusura di una trattativa di vendita.
Si tratta dell’ennesimo utilizzo improprio dell’inglese quando il termine è perfettamente sostituibile con una perifrasi italiana? La risposta è no, almeno in questo caso specifico. L’inglese serve, eccome.
Ma andiamo con ordine, dato che closing può essere utilizzato in ambiti piuttosto diversi.
Innanzitutto il termine closing ricorre in ambito contabile per riferirsi a “the moving of account balances at the end of an accounting period from subsidiary ledgers, containing nominal or temporary accounts, to an income summary account” (The Law Dictionary); in questo contesto, la traduzione è possibile e facilmente intuibile dato che, anche nel linguaggio comune, si parla di chiusura dei conti.
In ambito legale, closing può essere in alcuni casi tradotto semplicemente con perfezionamento “da intendersi come il compimento di uno o più atti finali di un’operazione che determina il prodursi dei relativi effetti giuridici” (Serena De Palma) mentre in altri, soprattutto in ambito M&A, è sconsigliabile lanciarsi in una traduzione. Lo spiegano con precisione Adducci e Sparano:
Il termine closing è tratto dalla terminologia anglosassone e non assume nella contrattualistica italiana un significato tecnico univoco e preciso. Potremo definirlo come il momento della esecuzione del contratto ovvero il momento che coincide con la verificazione delle condizioni sospensive dell’entrata in vigore del contratto, avendo effettuato i contraenti tutto quanto necessario per la esecuzione dello stesso ed essendo ottenute le specifiche autorizzazioni richieste dalle leggi applicabili.
Tenuto anche conto che spesso il cliente non mette a disposizione del traduttore tutti i riferimenti documentali necessari per fare valutazioni più consapevoli, ritengo più prudente mantenere l’anglicismo in quanto non si rischia di limitare le implicazioni giuridiche del testo. E d’altro canto, il termine inglese è ormai pienamente attestato nel linguaggio legale e finanziario italiano.
Un ultimo utilizzo particolare del termine si ha invece nell’espressione closing argument utilizzata in ambito processuale per indicare “le conclusioni dell’avvocato e/o del pubblico ministero che segnano il termine della fase dibattimentale o di trattazione della causa e l’inizio della fase decisoria” (di nuovo Serena De Palma). Semplicemente una sorta di “arringa conclusiva”.
Per concludere, come spesso accade per la terminologia specialistica e soprattutto quando dobbiamo operare a cavallo fra sistemi giuridici molto diversi, è necessario a mio avviso tollerare qualche forestierismo. Oppure avete trovato una soluzione convincente in lingua italiana? Aspetto i vostri contributi nei commenti!
L’autrice del contributo
Da oltre 10 anni Chiara Zanardelli si occupa di traduzioni finanziarie e legali nelle combinazioni inglese-italiano e spagnolo-italiano. Insieme all’amore per le lingue, nutre da sempre una forte passione per le nuove tecnologie e l’innovazione digitale. Per info: www.traduzionechiara.it