La chiusura di Expo 2015 è ormai alle porte. Per mesi abbiamo sentito parlare degli errori di traduzione e delle difficoltà di gestione di un pubblico multilingue. In omaggio a questo evento storico per Milano, questa settimana parliamo del tema di Expo, il cibo e torna a parlarcene la collega Elisa Farina, traduttrice e formatrice esperta in questo settore.
Indipendentemente dall’area di specializzazione, il lavoro di un traduttore passa sempre per lunghe e approfondite ricerche terminologiche. Ogni testo, per semplice che possa sembrare, impiega il lessico settoriale di un determinato ambito di attività. Va da sé che un catalogo di stufe a legna sarà meno denso di tecnicismi rispetto alla documentazione di progetto dei singoli apparecchi. Eppure, non ne sarà privo. E un traduttore – un buon traduttore – lo sa. Nel momento stesso in cui prende in carico il documento, si prepara mentalmente a ciò che lo aspetta: un susseguirsi di ricerche, una continua selezione delle fonti, uno studio dettagliato del materiale di riferimento.
Ciò è vero sia per testi di natura evidentemente tecnica che per tipologie testuali dalla tecnicità più velata. In un primo momento, un libro di cucina o una raccolta di ricette tendono a mettere in luce solo il proprio lato più accattivante e creativo. Non per nulla si parla di “arte culinaria”. A una seconda lettura, però, lo sguardo attento e allenato di chi è solito lavorare nel campo gastronomico scorge l’estrema precisione con cui sono scelti e usati i vocaboli.
Si prenda ad esempio un menù. A chi non è capitato di sedersi al tavolo di un ristorante in un paese straniero, prendere in mano il menù gentilmente offerto dal cameriere e sobbalzare di fronte a piatti dal nome un tanto “stravagante”? Per i non addetti ai lavori, la traduzione grossolana di un menù tende a essere fonte di stupore. Chi non cucina? Chi non parla di cibo tutti i giorni? Perché mai tradurre un menù dovrebbe creare difficoltà? A parte l’acquolina in bocca che certamente viene a furia di scorrere liste e liste di piatti gustosi e stuzzicanti, quale altro intoppo potrà mai esserci?
Ebbene, lungi dall’essere un compito semplice e divertente, tradurre un menù comporta tutta una serie di sfide, che personalmente raggruppo in macrocategorie. Nello specifico mi riferisco alla resa di:
- materia prima;
- metodo di preparazione, tecnica di cottura, presentazione, ecc.;
- piatto tipico;
- piatto dello chef.
Tra questi aspetti, il primo richiede un approccio del tutto identico a quello necessario alla traduzione di un testo tecnico. Nel momento in cui il menù elenca, ad esempio, una serie di piatti di pesce, il traduttore è chiamato a ricercare il preciso corrispondente in lingua di arrivo per ognuna delle specie nominate nella lingua di partenza. Merluzzo o tonno? Rana pescatrice o rombo? Chi lavora abitualmente su testi gastronomici sa bene che solo una piccola parte di nomi di specie animali appaiono sui dizionari. Perché? Perché una stessa specie può essere nota con una molteplicità di nomi comuni. Perché spesse volte l’autore utilizza il termine con cui ha sempre chiamato una determinata specie senza essere cosciente del fatto che si tratta di un vocabolo dialettale. Perché al mondo esistono innumerevoli specie rare o diffuse in aree geografiche molto ristrette.
In situazioni di questo tipo, il traduttore deve procedere con la stessa meticolosità con cui ricerca il termine usato nella lingua di arrivo per quello specifico tipo di valvola o quella particolare tipologia di vite. In che modo esattamente? Ogni traduttore adotta la propria strategia. Per quel che mi riguarda, vedo nella ricerca del nome scientifico un passaggio obbligato. Il nome scientifico è un nome attribuito per convenzione a una determinata specie allo scopo di consentirne il riconoscimento in tutto il mondo, in qualsiasi lingua. Nel momento in cui dal nome comune riportato nel testo di partenza riesco a risalire al nome scientifico della specie, e da questo al nome comune nella lingua di arrivo, ho la certezza di avere individuato il traducente corretto. E poiché il dato che sto investigando è un’informazione di natura scientifica, le mie ricerche si concentrano su fonti altrettanto scientifiche: banche dati di istituti specializzati, saggi e studi di università, pubblicazioni di amministrazioni e ministeri.
E voi? Quali difficoltà riscontrate nella traduzione della materia prima nelle voci di un menù? E più in generale, come affrontate la traduzione della terminologia del settore gastronomico?
Elisa Farina, nata e cresciuta in Italia, ha trascorso gli anni della prima adolescenza in Germania. Tredici anni più tardi, ormai giovane donna, si è stabilita in Spagna, dove vive tuttora e lavora come traduttrice nelle lingue italiano, spagnolo, tedesco, inglese e francese. Oltre al suo sito web vi invito a seguirla su Facebook, Google+ e Twitter.