Mentre l’anno scolastico imbocca la retta finale, non accennano a rallentare le attività dell’ICEE, l’Innovation Cluster for Entrepreneurship Education. Lo so. Il flusso di testi da tradurre e correggere è continuo. E tutte le volte che arriva materiale nuovo su questo progetto di ricerca, avviato un anno fa nel quadro del Piano d’azione Imprenditorialità 2020 della Commissione europea e sviluppato da diversi Paesi tra cui l’Italia, guardo con sospetto e rassegnazione a quell’entrepreneurship education. Perché sebbene non esista una versione ufficiale del titolo in lingua italiana, per l’espressione si è ormai imposta una formula predominante: educazione all’imprenditorialità. E a un professionista il dubbio deve almeno venire: «Ma siamo proprio sicuri che sia una traduzione corretta?».
Com’è stato giustamente osservato da Licia Corbolante in un breve ma efficace post, nella maggior parte dei casi «non c’è equivalenza tra education e la parola italiana educazione«. Evito di ripetere qui il ragionamento di Licia – che condivido pienamente – e mi limito a ribadire che ciò che in inglese è detto education, in italiano si chiama, «a seconda del contesto, istruzione, formazione, apprendimento e in alcuni casi anche didattica, insegnamento«.
Come si legge sul sito web di Junior Achievement Italia (ramo locale di JA-YE Europe, coordinatore dell’iniziativa), partendo dal presupposto che l’imprenditorialità sia una competenza chiave, il progetto ICEE si pone l’obiettivo di analizzare le strategie e azioni più idonee ad assicurare all’intera popolazione studentesca europea un’esperienza imprenditoriale pratica a scuola. Dato tale contesto, il termine entrepreneurship education non andrebbe dunque reso con istruzione all’imprenditorialità, formazione all’imprenditorialità o insegnamento dell’imprenditorialità?
Sì e no. Sì, perché le suddette formule vengono effettivamente impiegate in testi dell’Unione europea, in primis nella Comunicazione della Commissione su quello stesso Piano d’azione Imprenditorialità 2020 che è alla base del programma di ricerca. No, perché le stesse istituzioni comunitarie, come anche il MIUR e le scuole coinvolte ricorrono nei propri scritti prevalentemente all’espressione educazione all’imprenditorialità.
Ora, per tornare al dubbio di cui sopra, l’espressione educazione all’imprenditorialità può essere considerata corretta? Personalmente penso di sì. La Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente offre di «imprenditorialità» una definizione che, a mio parere, la avvicina molto alle conoscenze e abilità oggetto di un processo di «educazione», più che di «istruzione».
Il senso di iniziativa e l’imprenditorialità concernono la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. È una competenza che aiuta gli individui, non solo nella loro vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, ma anche nel posto di lavoro, ad avere consapevolezza del contesto in cui operano e a poter cogliere le opportunità che si offrono ed è un punto di partenza per le abilità e le conoscenze più specifiche di cui hanno bisogno coloro che avviano o contribuiscono ad un’attività sociale o commerciale.
È possibile (e probabile) che la formula educazione all’imprenditorialità sia nata come calco dell’inglese, ma non è poi del tutto priva di ragione d’essere.
Chi è d’accordo? Chi la vede diversamente? Vedo mani alzate tra i banchi… A voi la parola!
L’autrice del contributo
Elisa Farina, nata e cresciuta in Italia, ha trascorso gli anni della prima adolescenza in Germania. Tredici anni più tardi si è stabilita in Spagna, dove vive tuttora e lavora come traduttrice dal tedesco, inglese, spagnolo e francese verso l’italiano. Per info: www.elisa-farina.com