Sono giovani, nati e cresciuti in Europa (o, più in generale, in occidente), nella maggior parte dei casi figli di terza o quarta generazione di immigrati musulmani, che, convertiti a un fanatismo violento, hanno deciso di immolarsi per la causa del Jihad combattendo tra le fila delle milizie siriane. Abbiamo imparato a conoscerli a causa di terribili vicende di cronaca che li hanno visti protagonisti con il nome di foreign fighter. Gli italiani che hanno abbracciato la causa jihadista e hanno seguito addestramenti all’estero sarebbero più di 110, 17 dei quali sarebbero già tornati in Italia con l’intento di perpetrare attentati sul nostro territorio. Si tratta, dunque, di un fenomeno reale che interessa tutti ed è questo che giustifica l’ampia diffusione che l’espressione che lo definisce sta avendo tra media nazionali e internazionali.
Vediamo allora come Italia, Francia e Spagna utilizzano tale appellativo e se c’è la possibilità di tradurlo nella nostra lingua utilizzando un corrispondente abbastanza immediato in grado di sostituire l’espressione inglese.
A tale scopo, è stata condotta un’analisi[1] tra i media di questi tre paesi che ha svelato due aspetti interessanti. In primo luogo è emerso che quando i mezzi di comunicazione francesi o spagnoli parlano di un loro compatriota foreign fighter, essi tendono a non specificare il fatto che questi sia cittadino di seconda, terza o quarta generazione ma si limitano semplicemente a narrare la vicenda senza enfatizzarne troppo l’origine. Lo stesso non accade sulle pagine dei nostri quotidiani, i quali tendono a porre l’accento sull’origine straniera delle reclute, anche nei casi in cui esse posseggano passaporto italiano. Sappiamo bene che, rispetto all’Italia, la Francia e la Spagna sono abituate a un flusso migratorio maggiore e a una maggiore integrazione del migrante, anche per via di ragioni che risalgono all’epoca del neocolonialismo o addirittura ai tempi dell’Al-Andalus. Tuttavia, senza scomodare troppo la storia, potremmo pensare che ancora una volta il linguaggio che utilizziamo si fa portatore del nostro modo di concepire il mondo e, in questo caso, rivela come lo “straniero” viene concepito come parte più o meno integrante della collettività nazionale.
Questo aspetto cognitivo del linguaggio ci conduce a una seconda riflessione. Gli stessi media presi in considerazione rivelano anche che la Francia e la Spagna non solo concepiscono come loro concittadini questi combattenti, ma traducono nelle rispettive lingue l’espressione con la quale vengono identificati. In francese, infatti, combattants étrangers si impone sul corrispettivo inglese e Google ci conferma che il numero di risultati relativo alla versione francofona è quasi cinque volte superiore a quella in cui è presente l’anglicismo. Il rapporto si assottiglia nel caso della lingua spagnola ed è di uno a due ma l’uso di combatientes extranjeros risulta comunque preponderante rispetto alla versione inglese.
In italiano la situazione è opposta. Ricorrendo ancora una volta a Google, scopriamo che foreign fighters (sì, al plurale!) in abbinamento con “terroristi” e combattenti stranieri insieme a “terroristi” hanno un numero di entrate pari rispettivamente a 128k e 12k.
Perché esiste questa differenza lampante? Possiamo realmente decifrare il fenomeno attraverso la lente cognitiva? Detto in altri termini, i giornali francesi e spagnoli guardano con prossimità i soggetti di cui parlano e questo processo li spinge a tradurre tale vicinanza utilizzando un termine nelle loro rispettive lingue? Altrimenti si potrebbe pensare che l’espressione sia entrata nel linguaggio italiano poiché esemplificativa, al pari di ISIS o al Qaeda o kamikaze, e che si ricorra a foreign fighter per definire quelli e solo quei combattenti di origine straniera che si stanno arruolando all’ISIS. O, infine, potrebbe trattarsi semplicemente di una resa da parte dei media italiani di fronte a un ennesimo forestierismo.
Per parafrasare il titolo di questa brillante rubrica, allora, come si traduce?
Combattenti stranieri potrebbe essere una buona soluzione. Ma stranieri per chi? Per la Siria ovviamente. Come accennato in precedenza, spesso si tratta di nostri connazionali che hanno abbracciato la causa del Jihad e l’utilizzo del termine “straniero” potrebbe arrecare confusione. Jihadisti italiani? Ma non tutti i jihadisti sono combattenti effettivamente impegnati sul campo e non sono nemmeno tutti italiani. Lasciamo aperto l’interrogativo nella speranza di coinvolgere voi lettori. Certo è che capire chi sono e come definirli è un’operazione che va oltre una mera questione linguistica poiché costituirebbe il primo passo per trovare una soluzione a un problema che mina la pace e la sicurezza di tutti. Che ne pensate?
L’autrice del contributo
Valentina Mecca è una traduttrice specializzata in politica e sicurezza internazionale. Ha studiato tra Italia, Spagna e Stati Uniti. Ha una laurea in Mediazione Linguistico-Culturale, una magistrale in Scienze Diplomatiche e un master in International Relations presso l’IE Business School di Madrid. Le sue lingue di lavoro sono l’inglese e lo spagnolo ma ha studiato anche francese, tedesco, portoghese e arabo. La trovate su Twitter come @ValentinaMecca
[1] Sono stati presi in considerazione i principali media francesi, italiani e spagnoli, tra cui: Le Figaro, Le Monde, Le Parisien, El País, El Mundo, El Español, La Vanguardia, La Repubblica, Il Corriere della Sera, La Stampa, Il Fatto Quotidiano.