Se in Italia il 2015 si è chiuso con il fallimento di ben quattro banche (Etruria, Marche, Chieti e Ferrara), il 2016 si è aperto, non solo per l’Italia, all’insegna del cosiddetto bail-in, un termine che è ormai sulla bocca di tutti perché, pur trattandosi di un tecnicismo, riguarda anche i piccoli risparmiatori.
Il termine bail-in, che si contrappone alla più nota pratica del bail-out messa in atto a più riprese durante la crisi 2008-10, è stato introdotto dalla direttiva 2014/59/UE che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, nota come direttiva BRRD (“Bank Recovery and Resolution Directive”). In base alla direttiva, tra gli strumenti di risoluzione a disposizione delle banche figura anche il meccanismo del bail-in che Banca d’Italia definisce “uno strumento che consente alle autorità di risoluzione di disporre, al ricorrere delle condizioni di risoluzione, la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura sufficiente a ripristinare un’adeguata capitalizzazione e a mantenere la fiducia del mercato”.
Mentre il termine bail-out è talmente radicato da risultare tra le voci del Dizionario Treccani di economia e finanza, il bail-in è comparso fra i neologismi del dizionario a marzo 2013.
Ma perché non parlare semplicemente di “salvataggio bancario interno”? Come scegliere la soluzione più adeguata?
Anche volendo trascurare la forte diffusione del forestierismo sui media (Google conta 430.000 risultati sui siti Web .it), la risposta a questa domanda si trova più semplicemente nella direttiva BRRD, nella cui versione bilingue vediamo che “bail-in” (inglese) è tradotto “bail-in” in italiano. Particolarmente curioso è invece il fatto che in spagnolo, una lingua che non ama i forestierismi, si preferisca utilizzare recapitalización interna, affiancandolo solo in qualche occasione all’originale inglese.
Nonostante “salvataggio interno” sia una soluzione molto più trasparente per un lettore non specializzato, il termine bail-in va senza dubbio preferito per la sua specificità, la sua diffusione anche a livello generalista e soprattutto per il suo utilizzo nella direttiva che lo istituisce, primo strumento a cui deve necessariamente far riferimento un traduttore.
Che dire della traduzione di bail-in nelle altre lingue europee?
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L’autrice del contributo
Da oltre 10 anni Chiara Zanardelli si occupa di traduzioni finanziarie e legali nelle combinazioni inglese-italiano e spagnolo-italiano. Insieme all’amore per le lingue, nutre da sempre una forte passione per le nuove tecnologie e l’innovazione digitale. Per info: www.traduzionechiara.it