Tra gli elementi che ci permettono di identificare se ci troviamo di fronte a un professionista, senza dubbio l’aspetto della Ricerca terminologica assume una cruciale importanza.
E badate bene che con ricerca terminologica non mi riferisco solo alla ricerca dell’esatto corrispondente nella lingua di arrivo (o comunque il più vicino possibile in assenza di una precisa corrispondenza), ma anche la ricerca di eventuali riferimenti (documenti, leggi, articoli ecc.) di cui esista già una traduzione ufficiale nella lingua di arrivo; in tal caso è buona regola, anche qualora la traduzione non ci piaccia, adottare la traduzione ufficiale senza rischiare di confondere il destinatario del testo tradotto.
Facciamo qualche esempio. Proprio oggi mi sono occupata della revisione di un testo relativo alla tutela dei dati personali, una tipologia molto comune in questi ultimi anni.
In questa tipologia di testi si fa spesso esplicito riferimento al D.lgs. 196/03 e al Codice in materia di protezione dei Dati Personali.
Cosa deve fare quindi un professionista?
Una semplice ricerca, che darà come primo risultato proprio il sito del Garante della Privacy.
Il nostro traduttore avrà vita facile a questo punto; facendo clic sul primo link non solo troverà la versione in lingua italiana del Codice in materia di protezione dei dati personali ma subito dopo anche una bandiera che punta alla traduzione ufficiale in lingua inglese.
Anche se sarebbe utilissimo consultare l’intero documento per allinearsi il più possibile alla terminologia utilizzata nel riferimento, per fornire un buon lavoro basterà passare in rassegna le definizioni, in questo caso in particolare l’articolo 4 e la sua corrispondente traduzione in lingua inglese. Scopriremo così che il titolare, il responsabile, l’incaricato e l’interessato sono figure ben specifiche e di cui non si può dare una traduzione libera perché si riferiscono a funzioni ben precise che un eventuale lettore potrebbe voler approfondire proprio facendo riferimento alla traduzione ufficiale del Codice in materia di protezione dei Dati Personali. In questo caso, volenti o nolenti, dovremo utilizzare le traduzioni attestate sul Personal Data Protection Code, ovvero data controller, data processor, persons in charge of the processing e data subject.
Come ho detto, la traduzione ufficiale deve essere adottata anche quando non sia di nostro gusto. Ma che fare quando siamo in presenza di un vero e proprio errore?
Proprio questo problema è stato affrontato da Barbara Arrighetti nel suo webinar sulla Convenzione di Vienna a cui ho partecipato lo scorso febbraio.
Nel caso della CISG il traduttore italiano ha a disposizione come riferimento una “traduzione non ufficiale” ma di fatto conosciuta e utilizzata dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In questa traduzione, però, il termine “termination” è tradotto in italiano con “rescissione” che certamente NON è una traduzione corretta e neppure accettabile. (Per chi non lavorasse in ambito legale segnalo che in italiano si parla di rescissione solo se ricorrono le condizioni di conclusione in stato di pericolo o lesione). Barbara suggeriva in questo caso di tradurre correttamente il termine e segnalare la questione al cliente. A conferma di ciò nei commenti dottrinali alla convenzione di Vienna il legislatore ha accompagnato il termine “rescissione” all’espressione “rectius risoluzione”, segnalando quindi la necessità di una correzione rispetto a una traduzione non accettabile.
E questo è solo un esempio, perché purtroppo traduzione ufficiale non è sempre sinonimo di una traduzione ben fatta. In questo caso al traduttore non resta che usare il buon senso: adottare, nel limite del possibile le traduzioni ufficiali, ferma restando la correttezza generale delle traduzione.
E voi, prestate attenzione ai riferimenti ufficiali? Avete qualche suggerimento da condividere o una curiosità da raccontare? Aspetto i vostri commenti!