Secondo molti, il Covid-19 ha avuto una vittima illustre: il processo di globalizzazione. Già prima della pandemia, a gennaio 2020, The Economist iniziava a parlare di “slowbalization” come reazione alla globalizzazione. Ma è stato solo con lo scoppio dell’epidemia che il modello della globalizzazione ha mostrato tutti i suoi limiti. Dopo aver tanto sentito parlare di offshoring, ossia di trasferimento all’estero degli stabilimenti produttivi, abbiamo iniziato a leggere di deglobalizzazione mediante le strategie di onshoring, reshoring, nearshoring, greenshoring, friendshoring… ma cosa si intende davvero?
I neologismi legati a -shoring
Il fenomeno del reshoring è ben rappresentato da una certa politica statunitense (il protezionismo è stato il motto della presidenza Trump) ed altro non è che il rimpatrio e la rilocalizzazione delle attività nel Paese di origine. Molto simile è il concetto di onshoring e quello di backshoring, anche se Il Sole 24 ore precisa, con riferimento a backshoring e nearshoring:
nel primo caso la rilocalizzazione avviene nel Paese d’origine, mentre nel secondo si tratta di una rilocalizzazione in uno Stato più vicino alla nazione d’origine.
E ancora, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale definisce il temine friendshoring o alliedshoring come “la tendenza a una modifica delle catene di fornitura che veda oltre a reshoring od onshoring uno spostamento della produzione verso i Paesi che condividono ideali comuni a quelli occidentali”.
Il Foglio chiarisce:
Si tratta di rilocalizzare in paesi amici, che condividono il sistema di valori e l’allineamento geopolitico. In questo modo viene ridotta al minimo l’esposizione del sistema produttivo alle rappresaglie economiche di paesi rivali. Ad esempio alcune aziende americane, Apple compresa, timidamente iniziano a rilocalizzare alcuni passaggi della propria filiera dalla Cina verso paesi come Taiwan, India e Vietnam.
Più di recente è emerso anche il concetto di greenshoring, che “shifts the focus from low cost and places it onto sustainable manufacturing”, in pratica la versione green della rilocalizzazione di imprese in precedenza delocalizzate. C’è quindi la volontà di ridurre la dipendenza dagli Stati esteri, anche con riferimento alle tecnologie energetiche.
Come abbiamo visto, gli shock esogeni (tra cui la pandemia, ma non solo) hanno indotto le imprese a rallentare il processo di globalizzazione o addirittura invertire la rotta, facendo nascere tutta una serie di neologismi legati a –shoring. Molti sono già entrati prepotentemente nella lingua italiana che, non essendo sintetica come l’inglese, richiede più o meno lunghe perifrasi per illustrare lo stesso concetto.
Quindi come tradurli? In generale il suggerimento, previa verifica con il cliente, può essere quello di descrivere il concetto all’inizio del testo e poi usare tranquillamente il termine inglese, molto più snello rispetto alle lunghe perifrasi italiane.