C’è un’opinione che in seno ai due principali partiti politici spagnoli – il Partido Socialista Obrero Español (PSOE) e il Partido Popular (PP) – pesa più delle altre, in ogni circostanza e ancor più nel vivo della campagna elettorale: è l’opinione dei barones. Chi sono costoro? Forse rappresentanti politici di nobili natali? In fin dei conti la Spagna è tutt’ora una monarchia…
Naturalmente no. Diccionario de la lengua española alla mano, scopriamo che il termine barón, oltre a indicare un titolo nobiliare, ha un’accezione consolidata che nulla ha a che vedere con il sangue blu: «Persona que tiene gran influencia y poder dentro de un partido político, una institución, una empresa». E infatti, nello scacchiere politico spagnolo i barones sono le torri: roccaforti del partito a livello locale, leader regionali che per il proprio potere territoriale e per l’elettorato che li sostiene vengono ascoltati con attenzione – e a volte irritazione, insofferenza, timore e un ampio spettro di atteggiamenti non proprio amichevoli – dai vertici del partito.
Ora, la soluzione più semplice per riferirsi a queste personalità in italiano sarebbe usare la parola «barone», che ha l’enorme vantaggio di sovrapporsi parzialmente al vocabolo spagnolo (mi riferisco, ovviamente, al significato nel contesto della gerarchia araldica). Peccato, però, che l’italiano «barone» non solo non abbia la precisa accezione dello spagnolo in ambito politico, ma possa assumere, in contesti non molto diversi da quello in questione, una connotazione negativa. Il Vocabolario Treccani ne dà la seguente definizione: «Con valore polemico, chi, per la sua posizione economica, politica, ecc., si ritiene disponga di potere eccessivo»; e il Garzanti Linguistica aggiunge: «chi usa in ambito professionale il proprio ruolo e la propria autorità a fini di potere o di tornaconto personale». Sebbene nella penisola iberica, come altrove, la classe politica non goda attualmente del favore incondizionato dei cittadini, chi usa il termine barones, in spagnolo, non lo fa a priori con tono di critica.
Ecco perché non sono d’accordo con la scelta compiuta dall’autore di un articolo pubblicato pochi giorni fa sul quotidiano on-line Il Foglio, che sin dal sommario usa l’italiano «baroni» con l’accezione spagnola dando per scontato (o forse non ponendosi il problema) che il lettore privo delle necessarie conoscenze linguistiche e culturali possa capirne il significato. Più vicine al mio modo di vedere, sono le soluzioni adottate in altri due articoli – il primo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il secondo apparso su Il Giornale – che, ricorrendo rispettivamente all’aggettivo «cosiddetto» («i cosiddetti baroni») e alle virgolette («i «baroni» del Psoe»), mettono in guardia il lettore, avvertendolo dell’uso «particolare» del vocabolo.
Personalmente, a ogni modo, non ho dubbi: poiché il termine barones fa riferimento a una precisa realtà che esiste con quelle esatte caratteristiche solo nel contesto politico spagnolo, l’unico modo per indicare correttamente il concetto e non confondere il lettore con un falso amico è mantenere il vocabolo in lingua originale (tra virgolette o meno) e fornirne una sintetica spiegazione nel corso della frase. Né più né meno come fa il settimanale Arcipelago Milano nell’articolo in cui chiarisce: «I “barones“, come vengono definiti in Spagna i sindaci e presidenti di Regione (…)».
Cosa ne dite? Pensate che mi faccia troppi scrupoli? Condividete il vostro punto di vista nei commenti!
L’autrice del contributo
Elisa Farina, nata e cresciuta in Italia, ha trascorso gli anni della prima adolescenza in Germania. Tredici anni più tardi si è stabilita in Spagna, dove vive tuttora e lavora come traduttrice dal tedesco, inglese, spagnolo e francese verso l’italiano. Per info: www.elisa-farina.com